Whole food

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Non voglio essere anglofila a tutti i costi, ma molti dei video che seguo, sia di maglia che di alimentazione, sono appunto in inglese.

Quindi mi capita di riflettere su alcuni concetti che espressi in inglese hanno un significato, ma quando vengono tradotti si rischia di fraintenderli.

Uno di questi è l'espressione "whole food", che invece di tradurre come cibo integrale forse sarebbe meglio intendere come cibo vero.

Purtroppo, infatti, il termine "integrale" è spesso associato ai cereali: la farina integrale, ad esempio, è quella che contiene anche la fibra ed il germe del chicco originario (anche se poi commercialmente è integrale qualsiasi cosa a cui è stata aggiunta un po' di fibra, ahimè).

Ma "whole food" è anche un uovo, o una fetta di carne, o un cespo di lattuga. Ovvero un cibo integro, fresco e non manipolato.

Non lo è il latte scremato, a cui è stato tolto il grasso e tutte le sue vitamine liposolubili. Oppure il riso bianco, ormai ridotto ad un grumo di amido e null'altro.

Non lo è il "burger" (o la "svizzera", insomma la polpetta di macinato schiacciata a disco) venduto confezionato; basta guardare gli ingredienti: lì non è stato tolto nulla, bensì aggiunto ciò che a casa non useresti mai. 

Quindi non solo integro nel senso che non è stato tolto nulla, ma anche sano, originale, vero, non manipolato.

Non che un cibo vero non possa essere surgelato, ma un conto è un filetto di nasello o le cozze sgusciate e un'altra cosa sono i bastoncini di pesce o la zuppa di cozze. Perché da una parte c'è un ingrediente appena pulito e surgelato, dall'altra una preparazione industriale.

Una volta compreso il reale significato di "whole food" è inevitabile constatare quanto esso sia impegnativo. Pulire, porzionare, condire, cucinare... diciamo la verità: la tentazione di aver tutto già pronto o quasi pronto è tanta. E l'industria alimentare è nata proprio per venire incontro al desiderio di faticare meno in cucina, lasciando le lunghe preparazioni a chi della cucina ha fatto il suo hobby o la sua passione.

Ma qui deve subentrare il valore del "whole food", perché solo comprendendo quanto sia importante e salutare possiamo essere disposti a fare un piccolo sacrificio, organizzarci e adottarlo come stile di vita (che non significa perdere tempo in cucina, ma adottare una cucina semplice).

Premesso che sono tutti legali (e presi singolarmente e in piccole dosi, non tossici), coloranti, emulsionanti, stabilizzanti, aromatizzanti, conservanti, ecc. hanno la sola funzione di allungare la vita del prodotto sullo scaffale. Non servono a nutrire o a farci stare in salute. Anzi, alla lunga sono tutte sostanze che possono creare problemi, ad esempio il mio intestino ha sviluppato una sensibilità all'anidride solforosa che è presente in moltissimi cibi conservati.

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Per non parlare del fatto che per rendere appetitosa una preparazione viene spessissimo aggiunto dello zucchero, sotto forma di semplice zucchero da cucina (saccarosio) o sciroppo di fruttosio-glucosio o maltosio, fruttosio o altri elducoranti anche sintetici. Persino nel pane, nelle salse per condimento, nella carne, nei cibi pronti di qualsiasi genere.

Sono convinta che questo fatto alla lunga (dagli anni settanta in poi, quando la guerra ai grassi ha lasciato campo libero allo zucchero - "lo zucchero fa bene al cervello"!) ha portato un vero e proprio cambiamento nei gusti delle persone, che hanno accettato passivamente che certi cibi "salati" alla fine risultino dolciastri; e che non si rendono conto della dolcezza estrema di certe famose creme spalmabili a base di nocciola e cioccolato, o delle famose bevande gasate a base di caramello. Dolcezza che risulta stucchevole alle poche persone che non sono abituate ad indulgere nello zucchero, o che hanno imparato a farne a meno.

Sono tantissime le ricerche scientifiche che dimostrano la pericolosità di un'alimentazione basata sui cibi manipolati, il cosiddetto "processed food", ovvero il cibo industriale. Chi si interessa di alimentazione lo sa molto bene, ma ormai se ne parla ovunque, eppure quel cibo è sempre lì, disponibile, desiderato, acquistato e mangiato.

Ci penso ogni volta che vedo la gente comprare wurstel, formaggio light, scatolette di insalata di tonno, bevande "senza zucchero", merendine per la colazione, ecc.; sono prodotti facili, ammiccanti, a portata di mano e di portafoglio. 

Mi chiedo se quelle persone, conoscendo cosa stanno acquistando, cambierebbero idea... ma possibile che non lo sappiano? Forse sì: tutti noi ne vediamo la pubblicità in tv ogni giorno, come possiamo pensare che non fanno bene!?

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