Questo articolo è la trasposizione scritta del primo episodio del podcast audio Parole a maglia, che è possibile ascoltare a questo
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foto di Matt Botsford su Unsplash |
Non c’è maglia senza filo. Strumento imprescindibile e protagonista assoluto della riuscita del nostro lavorare a maglia, il filo è una fonte inesauribile di piacere per qualsiasi knitter. Colore, spessore, morbidezza, elasticità, scorrevolezza, origine, peso, lunghezza, ariosità… sono tutte variabili che ci soffermiamo ad analizzare e che determinano le nostre scelte, nonché le nostre reazioni emotive!
Il filo è la fibra animale o vegetale manipolata, allungata e sottoposta a torsione, affinché possa essere intrecciata ed infine utilizzata per formare un tessuto. Per essere più precisi il Filo, dal latino Filum, è in realtà una fibra di qualsiasi materiale che, grazie a particolari operazioni, assume forma lunga, cilindrica e sottile, quindi viene generalmente unita in due o più capi per essere usata per cucire, tessere, lavorare a maglia, ed altri usi
Spesso usiamo la parola filato come sinonimo di filo. Filato è il participio passato del verbo filare: la fibra viene filata e diventa filo. Quindi non c’è filo senza l’atto della filatura, un’azione che a quanto pare esiste da quando abbiamo imparato ad usare le mani! Pazzesco! Abbiamo a che fare con il filo da migliaia di anni! Sembra infatti che gli uomini di Neanderthal, almeno 40.000 anni fa, costruissero delle corde intrecciando fili ottenuti strofinando sulla coscia ciuffi di pelo e fibre vegetali.
A partire dal Paleolitico Superiore l’Homo Sapiens ha sperimentato differenti tipi di materie prime di origine animale e vegetale per realizzare dapprima semplici corde e, successivamente, reti, stuoie e contenitori di varia forma di cui ci restano rare ma importantissime testimonianze.
Ben presto la tecnica si raffinò con l’invenzione di uno strumento: il fuso. I primi fusi risalgono al Neolitico, e permisero di usare anche fibre morbide e corte per ottenere filati sottili, che, una volta intrecciati con i primi rudimentali telai, diedero vita ai vestiti.
Nelle tombe egiziane e su vasi orientali antichissimi si trovano disegnate figure femminili in atto di filare col fuso. Infatti la filatura è stata una delle principali occupazioni femminili del mondo antico.
Al British Museum è possibile ammirare un vaso risalente al 490 a.C. che mostra l’immagine di una donna greca, in piedi, impegnata a filare con la tecnica del fuso a sospensione (cioè con un fuso che pende liberamente); mentre al museo egizio di Torino sono in mostra dei fusi risalenti a tremila anni fa.
Un momento, magari oggi non tutti sanno com’è fatto il fuso… brevemente, il fuso è uno strumento di legno usato per produrre, attraverso la rotazione, la torsione del filo e intorno al quale il filo stesso si avvolge; è composto da due parti: un bastoncino di legno lungo venti-trenta centimetri; e una fusarola o fusaiolo, con funzione di volano, piuttosto largo e piatto, in legno, pietra, terracotta, ossidiana o, modernamente, plastica, resina o metallo. La sua funzione è quella di rendere regolare e stabilizzare la rotazione del fuso.
Il fuso è quindi uno strumento antichissimo, tanto che negli esemplari più antichi e primitivi il bastoncino di legno si è dissolto nel tempo perchè materiale organico, ovviamente. Ciò che rimane è quindi la fusarola, che appare come una pietra bucata.
Nell'antichità la filatura con il fuso e la tessitura a telaio erano attività gestite in ambito familiare, ma mentre al telaio era possibile trovarvi anche uomini, la filatura rimaneva un ambito molto femminile. Nell’antica Roma saper filare rientrava nei buoni valori delle fanciulle di qualsiasi rango, non a caso si diceva Casta fuit, domum servavit, lanam fecit (lett. "Fu casta, servì la casa e fece la lana") per indicare una donna dal comportamento irreprensibile.
Tuttavia la richiesta di vestiti ed il commercio delle stoffe aveva portato gli antichi Romani ad organizzarsi in botteghe specializzate nella lavorazione della lana e del lino, dove la manodopera era fornita da schiavi o liberti.
Gli strumenti impiegati per filare erano la “conocchia” e il “fuso”. La prima (la conocchia o rocca o “colus”) un lungo bastoncino, in genere di giavazzo (una pietra di colore nero) o di ambra, che serviva a sostenere una certa quantità di lana destinata a essere gradualmente trasformata in filato. Il fuso era formato da una bacchetta sottile di legno o di osso lunga fino a un massimo di trenta centimetri, il cui diametro aumentava in corrispondenza dell’impugnatura. Il “fusaiolo” (detto “verticillus”), era un piccolo disco pesante che di regola si infilava alla base del fuso; i fusaioli più comuni erano in coccio, ma ne esistevano anche in pietra, piombo, giavazzo, argillite e osso; il loro diametro non superava i cinque centimetri, quindi piccolino.
Facciamo un bel salto in avanti nel tempo, perché per il
filatoio a ruota (detto anche arcolaio) abbiamo dovuto attendere il medio evo.
Sembra infatti che sia stato inventato intorno all’anno 1000 nel mondo islamico
(qualche fonte però riporta qualche secolo prima, in India), in ogni caso non
arrivò in Europa prima del 1200, quando (a meno di non essere molto ricchi) era
ancora comune farsi gli abiti in casa, partendo proprio dal filo necessario a
creare la stoffa. E filare rimaneva ancora un’attività estremamente familiare e
di pertinenza femminile. Il medio evo ha visto la nascita di miti e leggende
legati al mondo della filatura, che poi si sono evoluti in favole come la
famosa Bella addormentata. E a quel tempo risale anche l’espressione “Quando
Berta filava”… ma chi era questa Berta? Berta è la protagonista de La leggenda
di Berta, che racconta di una donna vissuta intorno all’anno mille in provincia
di Padova, il cui marito era stato imprigionato per un mancato pagamento. In
occasione della visita dell’imperatore Enrico IV e dell’imperatrice Bertha di
Savoia, Berta riuscì ad avvicinarsi all’imperatrice per chiedere la grazia per
suo marito. La grazia venne concessa e Berta regalò all’imperatrice una matassa
di lana appena filata. Il gesto commosse l’imperatrice che decise di regalare
ai due un terreno ampio quanto il filo della matassa potesse contenere. La
notizia presto dilagò e tutte le donne cercarono di ingraziarsi l’imperatrice
allo stesso modo, ma lei disse una frase che rimase indelebile: è finito il
tempo in cui Berta filava!
Ovviamente la meccanizzazione dal 1700 in poi ha fatto sì
che la filatura a mano diventasse antieconomica, ragion per cui quest’attività
ha cominciato ad essere abbandonata e dimenticata… anche se in epoca moderna ad
essa è stata attribuito un valore differente da quello economico, o almeno non
solo economico: basti pensare a Gandhi che avviò il movimento della filatura a
mano come parte della lotta per l’indipendenza indiana, e lui stesso inventò
una sorta di ruota portatile e veloce per filare il cotone, il Patti Charkha.
Inoltre oggi tante persone in tutto il mondo si divertono a filare con il fuso
o con il filatoio a ruota, perché è diventata un’attività ludica e di valorizzazione
personale, se vogliamo.
Oggi la manifattura tessile è completamente meccanizzata, in
tutte le sue fasi. Abbiamo quindi macchine che effettuano la Pettinatura, l’Affinamento
del nastro per creare lo stoppino. E quindi la Filatura, quando il nastro di
lana viene allungato e sottoposto a torsione per creare il filo vero e proprio.
Ci sono poi macchine che creano le rocche o i gomitoli,
quelle che mettono le fascette, ecc. ecc.
L’industria della manifattura gode di buona salute ed è in
continua evoluzione: sembra che fibre riciclate, cotoni biologici, viscosa
sostenibile, tinture botaniche ed il magico mondo dei filati per maglieria continui
a stupire per creatività, innovazione e attenzione all’ambiente.
Per quanto riguarda il nostro paese, possiamo dire che la
manifattura italiana gode di una buona reputazione, non è un caso se spesso i gomitoli di lana che
lavoriamo, pur avendo un brand ed un contenuto in fibra non italiano, sono
lavorati ovvero filati proprio in italia.
Bene, spero che questa piccola storia del filo vi sia
piaciuta! Io vi do appuntamento al mese prossimo con un altro audio-episodio di
Parole a maglia.
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